Gli allevatori di conigli sono in agitazione. Protestano contro l’arrivo di nuove regole che prevederebbero la modifica delle gabbie ove sono tenuti gli animali. Senza quasi accorgersi di una misura di ben altra portata, a loro certo più favorevole, tesa a introdurre l’origine obbligatoria delle carni cunicole in etichetta. E trascurano l’opportunità di una misura altrettanto importante, per loro come per l’intera zootecnia in Italia, l’origine delle carni al ristorante. I sostenitori della campagna End the Cage Age e i consumatori, frattanto, chiedono benessere animale e trasparenza in etichetta. Aspettando Godot.
Fuori i conigli dalle gabbie
Le proteste contro ‘nuove linee guida ministeriali’ sull’allevamento di conigli sono apparse sulla stampa negli ultimi giorni di luglio 2019. (1) Secondo l’assessore lombardo all’Agricoltura, Fabio Rolfi, ‘la visione ideologica del ministero della Salute rischia di ammazzare il comparto cunicolo lombardo e italiano. La richiesta di sostituire le gabbie attualmente in essere con sistemi di allevamenti a parchetto è sintomo di una visione animalista che metterà i nostri allevatori fuori dal mercato‘.
Il timore è un aumento dei costi di produzione per il comparto, che in Lombardia conta 447 allevamenti (+22,5%, rispetto ai 365 del 2010), per un totale di 289mila capi (-12%, dai 329 mila di 9 anni fa). ‘Se il ministro della Salute vuole penalizzare il mercato cunicolo italiano lo dichiari pubblicamente. Così facendo si contribuisce solo ad aumentare il divario con gli altri Paesi europei ed extraeuropei‘, tuona Rolfi.
Coldiretti – che pure dichiara di avere contribuito a scrivere le linee guida contestate (!) – si allinea alla protesta. (2) ‘Concordiamo sul fatto che alcuni sistemi di allevamento siano obsoleti e debbano essere migliorati per garantire il benessere animale, ma è rischioso adottare delle soluzioni non sufficientemente testate. Oltretutto, anche dal punto di vista della sostenibilità economica, non ci sono dati che supportano tali cambiamenti con cognizione di causa‘. Questa la dichiarazione di Roberto Moncalvo e Bruno Rivarossa, rispettivamente presidente di Coldiretti Piemonte (200 allevamenti, oltre 700mila capi) e delegato confederale.
Il mistero delle linee guida fantasma
Le nuove linee guida ministeriali sono però un fantasma. L’ufficio stampa del ministero della Salute, smarrito nella ricerca di un funzionario che potesse svelare l’arcano, ci ha liquidati con l’invio dello screenshot di cui a seguire, ‘aggiornato al 13 giugno 2019‘. Sugli attacchi politici al ministro Giulia Grillo (M5S) – per asserite ‘visioni ideologiche’ nemiche degli allevatori italiani – neanche un cenno.
Il web offre più notizie dell’ufficio stampa del ministero. Le Linee di indirizzo (volontarie) ministeriali – qui allegate – risultano datate 2015. A suggerire l’uscita dei conigli dalle gabbie fu dunque Beatrice Lorenzin, alla guida del dicastero dal 2013 al 2018 (sotto i governi Letta-Renzi-Gentiloni).
La redazione del testo è merito del Centro di referenza nazionale per il benessere animale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lombardia es Emilia-Romagna. Sulla base delle raccomandazioni del Consiglio d’Europa, un rapporto dell’EFSA, il d.lgs. 146/01 e le raccomandazioni di COPA-COGECA (la confederazione che rappresenta in Europa le confederazioni agricole nazionali).
La decisione di attribuire alle linee guida volontarie una valenza obbligatoria sarebbe poi maturata in seno alla Conferenza Stato-Regioni, spiega l’assessorato lombardo all’Agricoltura. Il quale ci ha trasmesso l’anteprima qui allegata del documento contestato, ancora ‘sotto embargo’.
La Conferenza Stato-Regioni, interpellata sul tema, risponde che il documento è ancora informale e dovrà venire discusso in seno alla Commissione politiche agricole. Allo stato dei fatti, insomma, non è chiaro su quali basi poggino le animate proteste.
Nuova etichettatura della carne di coniglio
Più concreta è la seconda novità che interessa gli allevatori di conigli. La Commissione Agricoltura della Camera dei deputati ha approvato una risoluzione, il 10.7.19, che impegna il governo a promuovere in Europa una etichettatura della carne di coniglio recante la provenienza e il metodo di allevamento degli animali.
La risoluzione approvata in Parlamento è stata proposta da Guglielmo Golinelli (Lega) e approvata all’unanimità dai membri della Commissione. (3) L’iniziativa è motivata dall’obiettivo di migliorare il benessere animale nel comparto (assecondando i desiderata dei consumatori europei, come rilevati da Eurobarometro 2016) e soprattutto dalla necessità di tutelare le produzioni italiane, in declino vertiginoso.
Leader in Europa fino a qualche anno fa, il coniglio Made in Italy è vessato da una concorrenza estera sempre più insidiosa, che ha causato il fallimento di oltre il 40% degli allevamenti cunicoli italiani e di oltre il 20% dei macelli. A causa delle massicce importazioni di conigli dall’estero, soprattutto da Francia e Ungheria. E di un dumping che pare consumarsi proprio all’ombra del Mercato interno.
‘Negli ultimi anni le importazioni italiane hanno subito una trasformazione: i volumi di importazione dalla Germania, che non è un Paese produttore, sono elevati e vi sono dubbi sulla provenienza di conigli (congelati o refrigerati) da altre zone europee o extraeuropee. Tanto è vero che è stata anche denunciata la presenza di un «mercato parallelo» d’importazione dei conigli da Paesi extraeuropei, in particolare dalla Cina. Sul mercato italiano, in sofferenza anche per fenomeni di dumping, il rischio è che arrivi carne di coniglio di bassa qualità‘ (Camera dei deputati, Commissione Agricoltura, risoluzione 10.7.19).
La Cina – mediante triangolazione con la Germania – sembra essere il principale responsabile del tracollo delle produzioni italiane. Il 99% per cento delle importazioni di carne di coniglio nell’Unione europea proviene infatti dall’Impero di Mezzo che, con una produzione di 417 mila tonnellate di carcasse, è il primo esportatore globale di carne di coniglio, secondo quanto riferiscono i deputati italiani.
Le contromisure al tracollo della filiera cunicola italiana sono in stallo da un decennio. ‘Il 29 aprile 2010 è stato approvato in sede di Conferenza Stato-regioni il Piano di intervento per il settore cunicolo (Atto 22/Conferenza Stato-regioni), ma ad oggi molte previsioni in esso contenute sono ancora disattese; l’istituzione della Commissione unica nazionale dei conigli vivi da carne da allevamento nazionale (C.u.n. cunicola), avviata dopo una lunga gestazione, con lo scopo di formulare le tendenze di mercato e dei prezzi della categoria di prodotto «conigli vivi da allevamento nazionale» in maniera trasparente e neutrale, è una delle poche misure previste dal Piano ad essere stata attuata‘, riferisce la Commissione Agricoltura della Camera dei deputati.
Il Piano di intervento del 2010 prevedeva anche l’introduzione dell’etichettatura di origine obbligatoria della carne di coniglio. Una decisione tuttavia rimasta sulla carta. A differenza delle carni suine, ovine, caprine e di volatili, alle quali è stato esteso – a partire dall’1.4.15, mediante il reg. UE 1337/13 – l’obbligo di etichettatura d’origine già previsto per le carni bovine dai regolamenti CE 1760/00 e 1825/00. La filiera cunicola è così rimasta nell’oscurità, in balia delle importazioni oscure.
Per colmare ‘questo vulnus normativo’ (e non solo), i deputati della Commissione Agricoltura incaricano il governo ad adempiere a 7 misure. In dettaglio,
1) ‘ad attivarsi nelle opportune sedi europee per l’inserimento, nella normativa dell’Unione, dell’obbligo di etichettatura di origine per le carni di coniglio e per i prodotti trasformati a base di coniglio, sia intero che porzionato, oltre a quello di allevamento e di macellazione, così come previsto per le carni fresche bovine, suine, ovine, caprine e di volatili, al fine di salvaguardare un comparto importante della zootecnia nazionale e garantire una maggior certezza giuridica a tutti gli operatori della filiera e una corretta informazione ai consumatori, attivandosi a tal fine altresì affinché nell’etichetta sia possibile inserire anche le informazioni relative alla filiera, e, in particolare, quelle relative al sistema di allevamento;
2) a porre in essere ogni iniziativa possibile e utile per tutelare gli allevatori e i produttori attraverso la valorizzazione del prodotto cunicolo nazionale che si caratterizza per una qualità superiore rispetto a quella di altre nazioni produttrici e per sostenere la filiera con campagne promozionali alla stregua di altri prodotti Made in Italy;
3) ad assumere iniziative, di concerto con le amministrazioni periferiche competenti, per il monitoraggio del settore. Nonché per un rafforzamento e coordinamento dei controlli sulle importazioni ed esportazioni di carni di coniglio, anche al fine di contrastare più efficacemente la contraffazione, l’agro-pirateria e il commercio di prodotti falsamente indicati come Made in Italy;
4) a riferire alle competenti commissioni parlamentari sullo stato di attuazione del piano di settore di cui in premessa sull’eventuale presenza di criticità ostative alla sua piena applicazione e in merito alle iniziative eventualmente necessarie per provvedere al suo aggiornamento;
5) a valutare l’opportunità di richiedere, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, della legge n. 287 del 1990, l’avvio di una indagine conoscitiva da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, per verificare il corretto funzionamento del mercato delle carni di coniglio;
6) a richiamare l’attenzione delle istituzioni unionali sulla necessità di verificare l’eventuale adozione da parte di alcuni Stati membri di misure che si configurano come lesive degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea;
7) a valutare l’opportunità di incentivare l’utilizzo di metodi di allevamento più rispettosi del benessere animale, anche al fine di consentire una maggiore valorizzazione del prodotto nazionale rispetto a quello di importazione‘.
L’origine delle carni al ristorante – su cui GIFT (Great Italian Food Trade) si batte da anni, finora invano, al fianco del Consorzio Italia Zootecnica – continua invece a sfuggire ai radar e alle attenzioni della politica italiana. Come alla stessa Coldiretti, che ne dovrebbe essere prima promotrice. Per garantire l’informazione trasparente ai consumatori sull’origine delle carni di ogni specie animale allorché servite dalle collettività (ristoranti, trattorie, fast food e take-away, mense, catering). E salvaguardare la zootecnia sostenibile 4.0 in Italia.
I conigli restano in gabbia
Tanto rumore per nulla. Non cambiano di una virgola le condizioni di allevamento dei conigli, sempre stipati in gabbie formato A4. Ma in presenza di campagne animaliste – come quelle di CIWF Italia, che si impegna per eliminare l’uso delle gabbie negli allevamenti cunicoli (4) – la più vaga previsione di cambiamenti ‘calati dall’alto’ ispira comunque il vigoroso ruggito degli allevatori di conigli.
Marta Strinati
Note
(1) Si vedano le dichiarazioni dell’assessore lombardo all’Agricoltura su https://www.giornaledibrescia.it/economia/allevamenti-conigli-la-regione-si-ribella-alle-nuove-norme-1.3385367 . Le dichiarazioni di Coldiretti Piemonte, su http://www.torinoggi.it/2019/07/31/leggi-notizia/argomenti/economia-4/articolo/allevamento-conigli-coldiretti-piemonte-valutare-bene-le-soluzioni-prima-di-imporle.html
(2) V. nota 1
(3) I deputati sono Golinelli, Gagnarli, Bubisutti, Cadeddu, Cillis, Coin, Del Sesto, Gallinella, Gastaldi, Liuni, Lolini, Lombardo, Maglione, Alberto Manca, Parentela, Sarli, Viviani. V. https://aic.camera.it/aic/scheda.html?core=aic&numero=8/00036&ramo=CAMERA&leg=18
(4) L’Iniziativa dei cittadini europei ‘End the Cage Age’, promossa da CIWF e registrata dalla Commissione nel settembre 2018, si concluderà l’11 settembre 2019 e ha già raccolto 1,2 milioni di firme. Più di 200 mila in aggiunta di quelle necessarie affinché Bruxelles debba prendere in considerazione la proposta regolativa di iniziativa popolare