L’ennesimo scandalo sul caporalato – che questa volta coinvolge una celebre azienda milanese, StraBerry – conferma la diffusione endemica dello sfruttamento dei braccianti in agricoltura. Esistono tuttavia reti virtuose da riconoscere e valorizzare, e alcune questioni irrisolte.
StraBerry, sfruttamento dei braccianti
Il marchio StraBerry dell’azienda agricola Cascina Pirola di Cassina de Pecchi è ben noto ai lombardi. Ricorre sugli Ape Piaggio colorati che vendono fragole e piccoli frutti rossi a km zero sulla strada, oltreché a scaffale dei numerosi punti vendita. Le confezioni sono addirittura accompagnate da un codice che consente di conoscere la tracciabilità dei frutti. ‘Quando, dove e da chi sono stati raccolti‘, recita il sito web dell’azienda già premiata da Coldiretti.
Un controllo della Guardia di Finanza ha però rivelato il lato oscuro di StraBerry. Lo sfruttamento sistematico di un centinaio di braccianti stranieri, in maggioranza africani. Turni di 9 ore, sotto un sole implacabile e l’occhio dei vigilanti. E una paga di 4,50 euro l’ora, ben meno del compenso previsto del CCNL (6,71 euro). I militari hanno perciò proceduto al sequestro dell’azienda e del suo patrimonio milionario.
Humus Job, lavoro e dignità
Tra le esperienze virtuose – oltre alla campagna Buoni e Giusti di Coop Italia e ad altre iniziative recensite nel rapporto BeAware (2018) – merita attenzione anche la piattaforma Humus Job.
Humus Job – nel mediare tra domanda e offerta di lavoro in agricoltura – coniuga la sostenibilità etica (legalità e diritti dei lavoratori) con quella economica, a sua volta essenziale. Attraverso i contratti di rete territoriali, i quali consentono di condividere le risorse di lavoro (job sharing) e ridurre l’impatto dei costi sulle singole imprese. Con la garanzia di condizioni di impiego rispettose dei lavoratori, come si è già sperimentato con le prime reti nel cuneese.
Trentino, lavoro agricolo anche coi sussidi
La provincia autonoma di Trento ha attivato l’Agenzia del lavoro per colmare la forte richiesta di manodopera stagionale. Per la raccolta delle mele soprattutto, che si protrae fino a novembre. Con il diktat della regolarità dei contratti, ovviamente.
Le offerte di lavoro agricolo sono aperte anche ai beneficiari di ammortizzatori sociali (es. cassa integrazione, NASpi, DIS-Coll, reddito di cittadinanza, etc.). L’unico limite per queste categorie, per il mantenimento dei sussidi, è la durata del contratto (massimo 60 giorni) e il compenso massimo (€ 2.000 complessivi, per il 2020).
Questioni irrisolte
Il lavoro in agricoltura – come in ogni altro settore e comparto – deve venire garantito nel pieno rispetto della legalità e dei diritti dei lavoratori, senza se e senza ma. Ciò vale per le filiere basate su materia prima agricola estera – come nocciole e olio di palma, ove ancora vige lo sfruttamento minorile – ma anche per l’agricoltura europea e italiana, ove il caporalato è tuttora endemico.
Le questioni irrisolte vanno perciò dirette a diversi soggetti:
– ai ministri di Politiche agricole, Lavoro e previdenza sociale, Interni, Giustizia, definire un programma congiunto di controlli volto a mettere fine una volta per tutte allo sfruttamento in agricoltura. La tecnologia (uso di droni e raccolta immagini da satellite) può risultare di grande aiuto, a maggior ragione ove si consideri che i braccianti lavorano alla luce del sole. Il solo fatto che la più grave inchiesta degli ultimi anni sia scaturita dal reportage di un quotidiano straniero è emblematico della scarsa volontà politica di ripristinare la legalità,
– alle confederazioni agricole, Coldiretti in primis, adottare codici etici e imporne il rispetto. Nella continua ‘caccia agli iscritti’, le rappresentanze agricole paiono del tutto indifferenti a fenomeni come il caporalato e le frodi (di cui recente esempio nello scandalo di Coccodì). Senza rendersi conto di come questi fenomeni arrechino grave pregiudizio all’intero comparto agricolo in Italia. Che la stampa estera infatti spesso associa alla malavita.
Il potere del mercato
La GDO (Grande Distribuzione Organizzata) e il discount si dedicano sempre più, in Italia, a vantare i loro falsi meriti in tema di sostenibilità, come si è visto. Greenwashing. Nessuno dei protagonisti della distribuzione moderna, tuttavia, si è mai premurato di garantire il rispetto della legalità e dei diritti dei lavoratori, nell’intero corso della filiera, da parte di tutti i propri fornitori. A partire da ortofrutta e prodotti di prima trasformazione industriale. Al di fuori di Coop Italia, l’unica a garantire nei supermercati fin dal 1998 – mediante applicazione dello standard SA8000 – ortofrutta ‘senza sfruttamento’.
Ai consumAttori, infine e da principio, il potere della scelta. Al di fuori della filiera corta e dei prodotti a scaffale certificati ‘senza caporalato’.
Dario Dongo e Marta Strinati