Il Canada annuncia lo scontro politico con l’Europa, per costringerci ad abbassare la guardia sulla sicurezza alimentare. Utilizzando il CETA – a suo tempo presentato come un innocuo ‘accordo di libero scambio’ – per aggredire le regole stabilite in Europa a presidio di salute umana e ambiente. Mele e grano i primi obiettivi.
Operativo ‘in via provvisoria’ da settembre 2017, il CETA ha fruttato nel 2018 un aumento del 6,5% delle esportazioni verso l’Europa, alle imprese canadesi. (1) Le quali ora si preparano a passare alle misure forti, abbattere le barriere non tariffarie. Vale a dire, demolire le normative di UE e Stati membri a presidio di sicurezza alimentare e tutela dell’ambiente.
Il rapporto della Camera di commercio canadese e di CropLife, l’associazione delle industrie degli agrotossici (a trazione 4×4, cioè Big 4) è chiaro nelle determinazioni dei lobbisti d’oltreoceano. (2) Un programma basato su 9 punti per sfondare le ‘barriere’, capitalizzare il CETA e aumentare le esportazioni nella più grande area di scambi di derrate agroalimentari al mondo, il Vecchio Continente appunto.
CETA, il bilancio che non piace ai canadesi
Nel 2018, dopo un anno di attuazione del trattato ‘di libero scambio’ – grazie alla riduzione delle tariffe doganali – il Canada ha aumentato le esportazioni verso l’Europa in misura significativa. In termini generali (+6,5%) e su alcune derrate, in particolare:
– avena, +493%,
– mais, +96,7%,
– frutti di bosco congelati, +35,5%,
– altri prodotti agroalimentari, +6,5%.
Ha registrato un calo dell’export, viceversa, su altre derrate:
– frutti di bosco freschi, -33,1% (a fronte dell’incremento sui corrispondenti frutti congelati),
– segale, -15%,
– grano, -4,4% (gli italiani preferiscono made in Italy e bio),
– altri cereali, -5%.
Da questo bilancio nasce la decisione programmatica di trasformare in positivo anche i dati negativi.
Più pesticidi per tutti, anche nelle mele
Uno degli obiettivi prioritari, per le lobby canadesi, è l’abbattimento dei limiti di residui di pesticidi ammessi in Europa, notevolmente inferiori ai livelli stabiliti al di là dell’Atlantico. Alla diversa impostazione dei limiti di contaminanti negli alimenti abbiamo già accennato, con riferimento alle micotossine. I sistemi di regole sulla sicurezza alimentare sono obiettivamente diversi (come si è visto, anche per quanto riguarda gestione del rischio e richiami pubblici). Il principio di precauzione, su cui si basa il diritto alimentare in Europa, non ha altrettanto valore in Nord America. E non è neppure richiamato in alcuno dei trattati tossici negoziati e stipulati dalla Commissione di Jean-Claude Juncker. Né nel CETA, né nel JEFTA, né nel TTIP.
Le mele canadesi della Nuova Scozia sono il primo casus belli. Gli autori del rapporto lamentano l’interruzione delle esportazioni verso l’Europa, a causa del divieto europeo di impiego di difenilammina (DPA), una sostanza usata per prolungare la conservazione dei frutti. In Canada le mele vengono infatti immerse in una soluzione di acqua e DPA, per garantirne la conservazione a bassa temperatura per un anno intero.
Il rischio per la salute relativo all’esposizione alla DPA è stato rivalutato nel 2008 dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). La quale ha concluso che i dati disponibili erano insufficienti a definire il rischio tossicologico per la popolazione legata al consumo di alimenti con un limite residuo di 5 ppm. A seguito di tale valutazione scientifica del rischio, la Commissione europea ha disposto il divieto di impiego della DPA. Definendo perciò – come per tutti i pesticidi vietati in Ue – una soglia massima di 0,01 ppm (parti per milione). Tale misura è entrata in vigore il 2.3.14.
I canadesi autori del rapporto definiscono la misura ingiustificata. Ostinandosi a mantenere sulle loro mele il limite residuo di difenilammina a 5 ppm. Citano a supporto della loro tesi l’ancora più blanda misura prevista in USA (10 ppm). E ambiscono a utilizzare il CETA per uniformare al ribasso i limiti sui pesticidi. Rimuovendo quelli considerati ‘troppo severi’, che dal loro punto di vista si qualificano come ingiustificate barriere al commercio con l’Europa.
Grano durissimo, le colpe dell’Italia. COOL
In uno dei punti programmatici del rapporto viene citato espressamente il ‘problema Italia’. La colpa del Bel Paese sarebbe quella di avere prescritto, nel 2017, l’indicazione obbligatoria dell’origine di semola e grano sulle etichette della pasta (COOL, Country of Origin Labelling). Un atto protezionistico, secondo i canadesi, che ne attribuiscono le ‘colpe’ a Coldiretti.
Il glifosate – che i coltivatori canadesi impiegano anche in fase post-raccolta (come invece vietato in UE) – e le informazioni relative ai suoi rischi per la salute e l’ambiente è oggetto di ulteriori proteste da parte dei lobbisti canadesi. Che definiscono tali notizie come fake news (!). A ben vedere, tuttavia:
1) l’etichettatura d’origine del grano nella pasta è già stata contestata, da Canada e USA, in sede WTO. Si tratta di una norma inapplicabile, dunque priva di cogenza, in quanto attuata senza rispettare le regole UE sulla notifica a Bruxelles delle norme tecniche. Le notizie su origine e provenienza del grano nella pasta vengono comunque fornite, su base volontaria, per rispondere alle richieste di trasparenza dei consumatori italiani,
2) la crisi dell’export di grano canadese verso l’Italia è effettiva, dai 173 milioni di dollari del 2017 ai quasi 93 milioni del 2018. È stata senza dubbio amplificata dalle notizie sull’origine in etichetta della pasta e dalle fondate preoccupazioni verso i residui di pesticidi nei cereali. Ma l’export di grano canadese in Italia è in declino da diversi anni. Dai 557 milioni di dollari del 2014, si è passati ai 460 del 2015 e al 322 del 2016. I consumAttori italiani hanno iniziato ad apprendere il valore della sovranità alimentare da almeno un quinquennio, e nessuna imposizione dall’alto potrà variare questa tendenza,
3) bollare come fake news i diffusi timori dei consumatori italiani di consumare pasta (o lenticchie) con residui dell’erbicida di Monsanto è semplicemente ridicolo. A maggior ragione dopo che diversi tribunali USA hanno riconosciuto la grave pericolosità dell’agrotossico più venduto al mondo. Senza dimenticare i numerosi studi che ne confermano la portata nociva anche per il microbioma e la sopravvivenza delle api.
Le associazioni canadesi degli agricoltori – anziché promuovere un uso corretto degli agrotossici, in quella logica di agricoltura sostenibile che dovrebbe animare l’intero pianeta – si preoccupano invece solo di suggerire ai coltivatori i ‘trucchi’ per mantenere ‘sotto traccia’ i residui di pesticidi. A tale scopo, l’associazione canadese Cereals ha varato un sito ad hoc, Keeping it Clean. E addirittura, sul suo sito istituzionale, minaccia ritorsioni sulle importazioni canadesi di ‘their high-quality food products, such as Parmigiano Reggiano or Parma Ham‘.
Dario Dongo e Marta Strinati
Note
1) Le diminuzioni di dazi doganali hanno fatto ridurre a 148€/ton le tariffe sul grano duro, 93€/ton segale e grano d’orzo
2) Cfr. ‘CETA issue in focus: opening opportunities for the Canadian crop sector‘, pubblicato da Stop TTIP Italia