Food delivery, il boom dei pasti a domicilio

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Food delivery in Italia, il boom è conclamato. Dai 207 milioni di euro nel 2017 ai 350 milioni del 2018, +69%. (1) Un servizio innovativo e molto apprezzato, se pur con qualche punto critico, protagonista di una crescita vertiginosa. 

Big del settore

In principio fu la pizza a domicilio. A suon di adesivi sulle cabine telefoniche, volantini sui parabrezza e nelle cassette della posta, la pizza express ha dominato la scena del food delivery per decenni. E poi, il miracolo digitale. 

L’arrivo del food delivery in Italia è piuttosto recente. Il primo ad approdare, nel 2011, è il danese Just Eat, seguito nel 2013 da prestofood.it e Mymenu. La svolta è del 2015, quando aprono Deliveroo, Foodora, Glovo, Moovenda, BacchetteForchette, CosaOrdino, Foodracers e Sgnam. Nel 2016 è il turno di Uber Eats.

Leader indiscusso del mercato italiano è l’inglese Deliveroo. Campione di incassi anche all’estero. Secondo il Financial Times è tra le società europee col più alto tasso di crescita nel 2017. Dalla fondazione nel 2013 al 2016 avrebbe registrato un aumento di fatturato annuale del 924%.

Oneri e onori, qualche caso

Gli operatori di food delivery trattengono una percentuale fissa su ciascun ordine, che varia sensibilmente in ragione della fornitura o meno del servizio di consegna e comprende in ogni caso la presenza del ristoratore sulla vetrina virtuale del sito. 

‘Just Eat, con cui lavoriamo da 6 anni, trattiene il 12%. Loro ci inviano gli ordini e noi li evadiamo affidandone la consegna al nostro fattorino‘, spiega Antonio Nofi de ‘Il mare di Terracina’, uno dei più apprezzati locali di Roma Sud – self-service e pescheria – ove mangiare pesce fresco a buon prezzo. ‘E grazie alla partnership con Just Eat’, prosegue Antonio, ‘nel 2018 il nostro fatturato è cresciuto del 20%‘. Deliveroo e Glovo trattengono più del doppio, il 30%, che però include anche il servizio di consegna a domicilio del cliente.

Oltre alla quota fissa trattenuta sugli ordini, i ristoratori affrontano un costo di natura finanziaria. I pagamenti eseguiti dai clienti ai gestori delle varie App con carta di credito vengono infatti fatturati (e pagati) dai proprietari dopo 15 giorni. Ulteriori costi possono occorrere in ipotesi di promozioni, che Deliveroo e Glovo – a differenza di Just Eat – mettono a carico del ristoratore, il quale è peraltro libero di scegliere se aderirvi. Sconti del 10-20% nei giorni e/o periodi di lavoro meno intenso, ad esempio, o in occasione di ricorrenze o ancora a favore di nuovi clienti. 

Alcuni pubblici esercenti, del resto, oppongono un rifiuto netto alla collaborazione con gli operatori di food delivery. È il caso della nota pizzeria romana ‘Ar volo’, la cui qualità è testimoniata dal locale sempre pieno. Alla prova con una delle più note App, ‘Ar volo’ ha riscontrato ritardi nelle consegne e malcontento nei clienti. Un’esperienza giudicata come da non ripetere.

Altri invece si avvalgono del food delivery per consolidare il loro ‘brand’, piuttosto che per aumentare il fatturato già soddisfacente. È il caso della celebre catena di pizzerie Mama Eat, nata nel 1999 a Napoli e sviluppata a Roma e Milano, che si contraddistingue per i menù anche senza glutine. La presenza sulle App, spiega Roberto Zeco, che ne segue il marketing, ha funzione strategica. E da questa prospettiva è anche possibile negoziare le tariffe.

Punti critici

Il grande successo del food delivery si spiega facilmente. Basta una App per accedere a un sempre più nutrito elenco di ristoranti, fast food, pizzerie a portata di clic. L’ordine si paga in anticipo con carta di credito (con un apprezzabile taglio al ‘nero’), senza o con un piccolo aggravio per il recapito a domicilio. Che di solito è puntuale.

La logistica – dalla ricezione e gestione degli ordini alla consegna del pasto al cliente – è gestita interamente dall’operatore. Con eccezione Just Eat, che non fornisce i fattorini e infatti applica tariffe meno esose ai ristoratori.

Proprio l’anello cruciale del servizio – i rider – sono diventati uno dei punti critici per le società del settore. Le quali accumulano profitti ingenti ma pagano poco i corrieri, senza fornire loro le garanzie tipiche del contratto di lavoro (copertura assicurativa, ferie e malattia pagati, etc.). Uno squilibrio che è sfociato in azioni legali – vinte dai fattorini in Spagna – e in un progetto normativo ad hoc in Italia. Proprio l’Italia potrebbe essere il primo Paese in Europa a riconoscere tutele a queste nuove figure di lavoratori.

Criticità condivisa con la quasi totalità dei ristoratori è poi la carenza d’informazione in merito agli allergeni. Nella colpevole omissione di controlli di ICQRF e ASL, i consumatori allergici subiscono anche qui inaccettabili discriminazioni e pericoli per la salute.

Marta Strinati

Note

(1) Dati Osservatori.net del Politecnico di Milano, elaborati e riferiti da Fipe nel rapporto 2018 sulla ristorazione

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