La legge italiana sul bio, approvata al Senato il 2.3.22, viene acclamata dai soliti noti come un grande traguardo. La stampa generalista si è limitata a riferire la querelle sul metodo biodinamico, che riguarda a malapena lo 0,3% degli operatori certificati.
Si trascura invece la violazione dei diritti umani fondamentali degli agricoltori, costretti per legge a subire le decisioni e addirittura le gabelle che Coldiretti potrà imporre anche ai non associati. Fino a quando le malefatte italiche non verranno censurate in UE. (1)
Ne parliamo con l’amico Roberto Pinton, per decenni dirigente di organizzazioni biologiche nazionali, ora impegnato a livello internazionale, il quale annota come ‘la normativa presenta aspetti dubbi’.
Agricoltura biologica, non è più un’attività economica di interesse nazionale?
‘Il testo originale del ddl indicava l’agricoltura biologica come un’attività d’interesse nazionale con funzione sociale e ambientale. (2) Ma 13 membri della commissione Agricoltura – con 7 emendamenti distinti, ma identici fino alle virgole, evidentemente sotto dettatura – hanno declassato l’agricoltura bio al livello di declinazione produttiva, come allevare conigli o coltivare il cavolo cappuccio.’
L’establishment agroalimentare non poteva tollerare che il sistema di agricoltura meglio regolato e controllato – a garanzia della salute e remunerazione degli stessi agricoltori, oltreché di salute pubblica, benessere animale ed ecosistemi, in linea con i Sustainable Development Goals (SDGs) – e con la strategia europea Farm to Fork ricevesse questo riconoscimento. E così è stato.
È possibile introdurre e finanziare un marchio per il biologico italiano?
‘La previsione di un marchio del biologico italiano denota una preoccupante ignoranza del diritto europeo da parte dei deputati e senatori, ma anche di chi ora leva i calici per la novità. Il marchio non servirebbe ad aumentare la trasparenza verso i consumatori: per tutti i prodotti biologici è già indicata in etichetta l’origine delle materie prime agricole. La sua funzione, come evidenziano i commenti entusiastici è quella di favorire prodotti nazionali a scapito di quelli provenienti da altri Stati membri, il che cozza con il Trattato dell’Unione europea e con decenni di politiche unionali.
Segni identificativi della sola origine territoriale, disgiunti da una riscontrata diversità delle qualità materiali del prodotto contrastano con le regole del libero scambio tra Stati membri. Ogni sostegno pubblico a un marchio nazionale che fosse concesso in funzione dell’origine della materia prima o della sede del produttore costituirebbe aiuto di Stato, vietato. E per l’Italia, maggior esportatore di prodotti biologici della UE, è un bene che sia così, le politiche protezionistiche ci fanno male’ .
I marchi bio nazionali possono venire proposti a Bruxelles solo se si è in grado di dimostrare l’esistenza di una distinzione qualitativa dei prodotti, com’è il caso di DOP e IGP, non basta la provenienza: la Commissione europea boccerà il marchio del biologico italiano. (3)
È necessario formare i tecnici sul metodo biologico, come previsto nel ddl?
‘La nuova legge dispone che lo Stato promuova la formazione di figure specializzate nel metodo biologico attraverso la possibilità di attivare corsi di laurea. Si tratta di una previsione inutile: Costituzione e leggi già riconoscono a università e accademie autonomia funzionale, didattica e scientifica. In parole povere già adesso un ateneo è libero di attivare corsi di laurea o master in agricoltura biologica e lo Stato non potrebbe certo impedirlo. Lo fanno già, per esempio, l’università di Bologna e l’università di Parma con un master, a titolo congiunto.
È invece necessario non solo genericamernte ‘promuovere’, ma sostenere davvero, anche economicamente, questi corsi, così come inserire l’agricoltura biologica nei programmi d’insegnamento degli istituti tecnici agrari. Entro il 2030 il 25% dei suoli agricoli dovrà essere biologico ed è fondamentale preoccuparsi della formazione scolastica, per scongiurare il rischio di trovarsi tra pochi anni con un quarto dell’agricoltura italiana senza tecnici preparati. È del tutto insufficiente limitarsi a prevedere percorsi per l’aggiornamento dei docenti degli istituti tecnici agrari senza mettere mano all’offerta didattica’.
Come funziona la rappresentanza degli operatori certificati biologici?
‘La legge istituisce il Tavolo tecnico per la produzione biologica, composto anche da un rappresentante della cooperazione agricola, da quattro rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole a vocazione generale, da un rappresentante per ciascuna delle associazioni maggiormente rappresentative nell’ambito della produzione biologica.
Il criterio di calcolo della rappresentanza è vago: si considerano maggiormente rappresentative le associazioni i cui aderenti gestiscano almeno il 20 per cento dell’economia del settore. L’unico aspetto sicuro è che non potranno essere più di cinque a livello nazionale. Ma non c’è una rilevazione del valore di mercato dei cereali piuttosto che dell’olio o delle uova, ci son solo stime prudenti, e attribuire la rappresentanza sulla base di stime e delle dichiarazioni del richiedente non è il massimo. Vedremo cosa indicheranno i successivi decreti del ministero delle Politiche agricole, senza i quali non ci saranno accordi quadro, organizzazioni interprofessionali, ma nemmeno il Tavolo tecnico per la produzione biologica’.
Ma la conclusione della selezione è prevedibile. (4) Nel tavolo tecnico che deve discutere le politiche, i criteri, gli incentivi, la rappresentanza verrà concentrata nelle mani delle organizzazioni agricole convenzionali, mai più di tanto vocate per il biologico.
Confagricoltura tifa per gli OGM, Coldiretti per i mercati Campagna Amica con pesticidi. Ora sono tutti amici del bio?
‘La quasi totalità delle aziende agricole aderisce a un’organizzazione generalista, al cui interno, tuttavia, quelle biologiche costituiscono ancora una minoranza. L’atteggiamento delle organizzazioni generaliste, ma direi di tutto l’establishment agricolo nei confronti del movimento biologico è stato per anni quantomeno molto cauto: se il 90% dei tuoi aderenti pratica agricoltura convenzionale, a questi pensi per primi.
L’atteggiamento delle organizzazioni generaliste è migliorato, ma è dura abbandonare la comfort zone del “ma si è sempre fatto cosi” e modelli organizzativi ormai stratificati. Anche di recente, la loro rappresentanza europea Copa-Cogeca si è impegnata, fortunatamente invano, per smontare la strategia europea Farm to Fork e restringere lo spazio dell’agricoltura biologica, di concerto con le lobby di OGM, pesticidi e antibiotici’. (5)
Al di là della diplomazia, potremmo tradurre che le organizzazioni generaliste, dopo avere remato contro per molti anni si preparano oggi ad assumere il controllo di un settore che inizia a presentarsi come fonte di opportunità economiche e di rappresentanza, quindi di potere.
Cosa succederà alle organizzazioni da sempre impegnate nel biologico?
Rete Humus, la rete sociale promossa da una dozzina di organizzazioni di base ‘storiche’ che operano nell’agricoltura biologica italiana, ha espresso preoccupazione. La nuova legge prevede il riconoscimento delle organizzazioni interprofessionali, che rappresentino almeno il 30% del valore della produzione nazionale, oppure di singoli prodotti o gruppi di prodotti. Questa soglia sale al 40% per le organizzazioni regionali o interregionali, ma a condizione che coprano almeno il 25% del valore a livello nazionale: impossibile, nella realtà.
In sostanza, denunciano i pionieri, le organizzazioni locali dei produttori, quelle generalmente più attente allo sviluppo rurale e territoriale e ai sistemi distributivi locali a filiera corta sarebbero estromesse dalla rappresentanza, che rimarrebbe affare di qualche big.
Alle organizzazioni interprofessionali la nuova legge attribuisce competenze non di poco conto, tra cui la programmazione delle produzioni e l’istituzione di fondi finanziari alimentati da contributi obbligatori sia per gli operatori aderenti che per quelli non associati, con sanzioni fino a 50mila euro per l’agricoltore che non intendesse versarli. A operare come agente della riscossione per conto di un privato, la legge incarica l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del ministero.
Le associazioni di categoria più rappresentative a livello nazionale possono stipulare accordi quadro con l’industria di trasformazione e con la distribuzione che prevedano il pagamento dei prodotti a prezzi pari almeno ai costi medi di produzione.
Sembrerebbe suonare bene, ma non ha nulla a che fare con il concetto di giusto prezzo: un conto è prevedere che i produttori agricoli conseguano un reddito dignitoso per sé e le loro famiglie, un conto è ritenere sufficiente il ‘coprire i costi’, svilendone il ruolo e ritenendo corretto che debbano lavorare per niente, soddisfatti di chiudere il bilancio in pareggio, senza utili da poter investire per migliorare produzione, condizioni di lavoro e di vita.
Il fatto che l’organizzazione interprofessionale possa chiedere al ministero che i contributi obbligatori imposti agli agricoltori aderenti per il conseguimento dei suoi fini istituzionali vengano estesi anche a quelli non aderenti calpesta il diritto costituzionale alla libertà di associazione.
Che ruolo hanno avuto i veri rappresentanti del settore bio nell’approvazione del ddl?
Susanna Cenni, vicepresidente della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, responsabile Agricoltura del Pd e prima firmataria di una delle proposte di legge fa poca fatica ad ammettere che il testo, il cui iter si è trascinato per 13 anni, è stato frutto di faticose mediazioni per fondere una dozzina di progetti proposti da diverse parti politiche.
Pur di ottenere l’approvazione del testo, le organizzazioni biologiche han fatto buon viso a cattivo gioco e ora devono esprimere soddisfazione per un testo che presenta notevoli criticità.
La linea del Piave che hanno scelto è stata la difesa dell’agricoltura biodinamica (che, al di là di alcune pratiche esoteriche, è comunque certificata biologica, esprime passione e s’impegna in prassi ambientali, alla salvaguardia della biodiversità e alla tutela dell’ecosistema).
Il loro pressing fino all’ultima ora verso i capigruppo in Parlamento non è servito: un cenno di dissenso da parte del presidente della Repubblica ha messo in riga tutte le forze politiche che pure avevano resistito all’accanita ostinazione della senatrice Elena Cattaneo per affossare prima la legge nel suo complesso, poi ogni riferimento al metodo biodinamico.
Manca una base rappresentativa dei produttori
L’associazionismo biologico esiste dagli anni ’70 e ha cominciato a darsi una stabile organizzazione negli anni ’80, prima del regolamento CEE 2092/1991.
Aspetto curioso è che proprio a un uomo di Coldiretti si devono i primi informali stati generali del biologico.
A gennaio 1988 Giovanni Zarro, sottosegretario alle Politiche agricole (dal 1987 al 1989) emanò una circolare in cui invitava i propri uffici periferici a intervenire contro gli ‘alimenti definiti «biologici»’, a ‘contrastare tali infrazioni ed adottare i provvedimenti necessari‘, il che si tradusse in sequestri cautelativi di gran parte della merce presente negli scaffali dei negozi di alimentazione naturale di tutta Italia.
‘Ci siamo sentiti trattati alla stregua di delinquenti o spacciatori della peggior specie‘, dichiarò il gestore del negozio Naturalmente di Scordia, a 40 km da Catania.
In quell’emergenza, senza e-mail e cellulari, si autoconvocarono le prime riunioni nazionali del settore che decise di darsi forme di organizzazione per contrastare quell’attacco. (6)
Da allora, le organizzazioni sono cresciute e rimangono l’unico riferimento qualificato. Tuttavia, 40 anni non sono bastati a darsi un’organizzazione effettiva nei territori, rischiando di dover a cedere il passo ai soliti noti quando si tratta di dimostrare di essere una base reale rappresentativa dei produttori e non il volonteroso salotto buono.
Lo stesso settore produttivo (pensiamo alla grande industria e ai suoi brand biologici, ma non solo) ha un profilo per molti versi distante dalla filosofia che animava l’agricoltura biologica originaria. E tuttavia, anche queste imprese devono essere rappresentate. Viceversa, si rimane a dire le cose giuste, ma nella posizione della mosca bianca.
E per la rappresentanza, al di là delle tessere che ognuno può avere in tasca, bisogna chiedere a tutti cosa ne pensano. È il ‘difetto’ della democrazia.’
#VanghePulite
Marta Strinati e Dario Dongo
Note
(1) Dario Dongo. Biologico italiano, il disegno di legge su misura di Coldiretti in voto al Senato. #VanghePulite. GIFT (Great Italian Food Trade). 18.5.21, https://www.greatitalianfoodtrade.it/idee/biologico-italiano-il-disegno-di-legge-su-misura-di-coldiretti-in-voto-al-senato-vanghepulite
(2) Il testo originario del ddl recitava: ‘La produzione biologica è attività di interesse nazionale con funzione sociale e ambientale, in quanto settore economico basato prioritariamente sulla qualità dei prodotti, sulla sicurezza alimentare, sul benessere degli animali, sullo sviluppo rurale, sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e sulla salvaguardia della biodiversità, che concorre alla tutela della salute e al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’intensità delle emissioni di gas a effetto serra stabiliti dall’articolo 7-bis, paragrafo 2, della direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 1998, e fornisce in tale ambito appositi servizi eco-sistemici, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e delle competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Lo Stato favorisce e promuove ogni iniziativa volta all’incremento delle superfici agricole condotte con il metodo biologico, anche attraverso interventi volti a incentivare la costituzione di organismi, punti e piattaforme di aggregazione del prodotto e di filiere biologiche’.
(3) Sul marchio, v. http://dspace.crea.gov.it/bitstream/inea/385/1/1359.pdf , pag. 190 e seguenti
(4) La legge impone di avere il 30% del valore della produzione nazionale per essere riconosciuto a livello nazionale. Chi opera a livello regionale o pluriregionale deve avere almeno il 40% (di più, per ostacolare le organizzazioni locali potenzialmente più autonome), con l’ulteriore sbarramento di dover rappresentare comunque almeno il 25% del valore nazionale. In questo modo un’associazione di produttori della Basilicata, anche se avesse il 70% della produzione regionale, non potrebbe essere riconosciuta, perché non ha almeno il 25% della produzione nazionale. In linea teorica, potrebbero esserci 20 associazioni regionali, ciascuna con il 50% del mercato regionale, ma non almeno il 25% della produzione nazionale: nessuna potrebbe essere riconosciuta, mentre lo sarebbe chi a livello nazionale ha il 30% e in nessuna regione è maggioritaria. Serve a escludere i “piccoli” e a dare lo scettro alle organizzazioni agricole nazionali. E anzi anche meno, poiché si riferisce a organizzazioni interprofessionali ove partecipano anche trasformatori e/o commercianti e basta che il totale (non solo la quota Coldiretti) sia 30%.
Sul numero di soci delle organizzazioni agricole è opportuno ricordare l’usanza di gonfiare i numeri. Le tre organizzazioni agricole vantano 2,5 milioni di soci. Ma gli agricoltori italiani attivi, con partita Iva, sono molto meno di un milione. L’ammanco è dovuto alle attività di patronato sindacale. Molti loro soci non partecipano affatto alle attività agricole o correlate, ma aderiscono per ottenere a prezzo scontato servizi come la dichiarazione dei redditi, le pratiche di pensione, etc. Trattandosi di organizzazioni private non sono obbligate a certificare i soci, ma sicuramente vi afferiscono intere famiglie, pensionati agricoli, contribuenti completamente estranei al mondo agricolo. Si tratta di un sistema di affiliazione improprio, che gonfia l’organico a dismisura e attribuisce rendite di posizione infondate
(5) Dario Dongo, Marta Strinati. PAC post 2020, ambiente e salute a rischio. Appello al Parlamento UE. GIFT (Great Italian Food Trade). 16.10.20, https://www.greatitalianfoodtrade.it/consum-attori/pac-post-2020-ambiente-e-salute-a-rischio-appello-al-parlamento-ue
(6) Il sottosegretario alle Politiche agricole Giovanni Zarro, DC, emanò la circolare n.1 del 16.1.88 ‘con la quale si stabilisce di non consentire la vendita di «prodotti alimentari di origine vegetale e animale» con la dicitura di «prodotti biologici» in quanto «tracce di inquinamento possono per via indiretta residuare in tali prodotti a causa di possibile inquinamento del terreno, dell’aria e dell’acqua» e che, a seguito di tale circolare, alcuni operatori sono stati multati o hanno subìto il sequestro dei prodotti’. V. resoconto stenografico della interrogazione presentata alla 84a seduta pubblica in Senato il 24.2.88 (pagine 58-59). https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/318308.pdf