Le merendine sono meglio dei dolci fatti in casa? Unione Italiana Food (UIF) promuove gli alimenti ultraprocessati, denigrando quelli più semplici (farina, uova, latte e yogurt, burro, zucchero, confetture) i cui produttori sono rappresentati da altre associazioni industriali di categoria. Corto circuito in Confindustria.
L’infelice comunicato stampa di UIF viene ripreso acriticamente da Ansa e varie testate, a partire da La Repubblica (di John Elkann). Fake news as usual, a servizio dei grandi investitori pubblicitari. Ma le merendine, sono davvero migliori? Un approfondimento.
Unione Italiana Food, il teorema bizzarro
Il teorema bizzarro di Unione Italiana Food poggia su un sondaggio di Doxa, che ha intervistato 600 mamme. E sostiene di avere appreso che:
– poche madri sarebbero consapevoli della quantità esatta di energia fornita da una fetta di ciambellone o crostata preparata in casa. In effetti, al di fuori dei casi ossessivi (anoressia, ortoressia), non molti calcolano i valori nutrizionali delle proprie ricette e pesano le porzioni,
– molte di esse esagererebbero, servendo ai figli e a se stesse quantità eccessive di grassi e zuccheri. E qui inizia l’avventura delle stime sul peso delle fette di torta e i loro apporti nutrizionali, in base alle percezioni delle madri intervistate. Un superEnalotto.
L’associazione di categoria – che storicamente rappresenta le industrie dolciarie, ed è finanziata in primis da Ferrero, Barilla, Nestlé, Mondelez – suggerisce che le mamme dovrebbero perciò somministrare ai loro pargoli una merendina di fabbrica, invece dei dolci preparati con tanto amore, magari pure assieme. Poiché solo la prima ha un peso medio di 35 grammi. Un’illazione demenziale schivata anche dalla nutrizionista ingaggiata da UIF, Valeria Del Balzo, la quale ha badato a precisare che le merendine possono venire consumate un paio di volte la settimana. (1)
Alimenti ultraprocessati, il nuovo che avanza
Il modello di consumo proposto da Unione Italiana Food avrebbe effetti tragicomici, allorché applicato ai vari pasti. Nell’incertezza sulle calorie di un piatto di pasta al pomodoro, tanto meglio una dose di noodles SaiKeBon. Se si perde il conto della porzione di spezzatino con patate, è preferibile andare da McDonald’s. E non v’è molto da scherzare, poiché questo stesso modello di consumo – teso a privilegiare gli alimenti ultraprocessati – viene propinato da Big Food ai nostri ragazzi con tecniche di influencer marketing subdole e illegali, che abbiamo già denunciato all’Antitrust.
Gli alimenti ultraprocessati presentano tuttavia una serie di gravi rischi, per la salute e il benessere dei consumatori di ogni età, confermati da numerosi studi epidemiologici e perciò presi in considerazione anche dalla FAO. Le ricerche più recenti hanno addirittura dimostrato una correlazione tra il consumo di cibi ultra-trasformati e modifiche genetiche che comportano l’invecchiamento precoce delle cellule, come si è visto. In esatta antitesi alla dieta mediterranea, che si conferma un elisir di lunga vita.
Merendine industriali vs dolci fatti in casa, 4 differenze
Le differenze obiettive tra merendine industriali e dolci fatti in casa sono almeno 4:
1) sicurezza alimentare. La gran parte delle etichette di merendine esaminate qualifica i relativi prodotti come alimenti a rischio. Numerose confezioni infatti riportano, a margine della lista ingredienti, locuzioni del tipo ‘può contenere (tracce) di) frutta secca con guscio’. Una dicitura fuorilegge che espone i consumatori con allergie alimentari a pericoli gravi ed è stata perciò dichiarata inammissibile dalla stessa Commissione europea, nelle apposite Linee guida sull’argomento,
2) qualità degli ingredienti. I costi delle materie prime nelle grandi industrie di settore rasentano a malapena il 25% dei costi complessivi. I quali rappresentano a loro volta una frazione del prezzo finale della merendina, poiché sia l’industria sia la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) hanno obiettivi di profitto. Va da sé l’esigenza di risparmio sulle materie prime, tanto più da parte di quelle industrie che investono ingenti somme in campagne pubblicitarie, spot tv in prima serata e promozioni a scaffale. Si spiega così la presenza – in elenco ingredienti delle merendine – di latte in polvere, olio di palma, additivi (es. mono e digliceridi degli acidi grassi, al posto delle uova), aromi chimici. Ingredienti mai visti in nessuna cucina italiana,
3) grado di trasformazione industriale, profili nutrizionali. È sufficiente dare un’occhiata al sito https://it.openfoodfacts.org/ per rendersi conto di come le celebrate merendine si qualifichino come:
– alimenti ultraprocessati. Al livello 4, l’ultimo, nella scala NOVA,
– con profili nutrizionali degni di attenzione, per i tenori eccessivi di grassi e zuccheri. Al livello D, arancione e penultimo, nel sistema NutriScore (i punteggi di ogni prodotto saranno presto disponibili a smartphone anche in Italia, grazie alla app Yuka),
4) prezzo. Le merendine industriali, con ingredienti non freschi né paragonabili a quelli che ogni madre – o padre, o altro (!) – scelgono con cura per preparare le delizie ai propri cari – costano fino a 10 €/kg. Cifre difficili a spendersi per preparare un ciambellone in casa. La soddisfazione, poi, non ha prezzo.
Merendine industriali, ingredienti e profili nutrizionali
Le informazioni nutrizionali e le liste ingredienti delle merendine che Unione Italiana Food raccomanda di sostituire al ciambellone di mamma sono eloquenti. E la campagna denigratoria ricade su se stessa, numeri alla mano. Basta un’occhiata alla tabella che riporta il profilo di alcune merendine ‘portabandiera’, riprodotte nell’immagine che illustra la campagna dell’industria di settore.
Mors tua, vita mea?
Durante il lockdown gli italiani hanno ritrovato la gioia di cucinare in casa. Condividere il rito della preparazione, adattare le ricette ai propri gusti, trascorrere più tempo assieme. Sono così aumentate le vendite degli ingredienti di base (+28,5%) – il lievito andato a ruba, le farine, i latticini, le uova (su cui è pure intervenuta una clamorosa frode taciuta dal mainstream media) – e sono in corrispondenza diminuite quelle dei cibi pronti (-2,2%). Il rapporto Coop sui consumi in era Covid-19 è molto chiaro al riguardo.
Le tendenze di mercato al contempo mostrano l’attitudine dei consumatori italiani a riconoscere il maggior valore dei prodotti alimentari biologici, da filiera corta, rispettosi dell’ambiente e della società. L’industria alimentare italiana ha dunque ottime ragioni per aggiornare l’offerta nella direzione della qualità a 360°, che è tra l’altro l’area ove meglio sa competere anche sui mercati internazionali. In una logica di sviluppo sostenibile e soprattutto di filiera, come è stato fatto ad esempio nel settore della pasta, con grande successo.
Il grossolano approccio Mors tua, vita mea, viceversa, nuoce soltanto alla reputazione del sistema alimentare italiano e delle sue tradizioni. Ed è ora che qualcuno intervenga per mettere fine a questa vergogna, con buona memoria dei codici etici associativi. Un po’ di etica nell’informazione, fact-checking anziché servilismo, farebbe altrettanto bene al Paese.
Dario Dongo e Marta Strinati
Note
(1) V. Comunicato stampa ricerca DOXA-UIF porzionatura dolci fatti in casa di Unione Italiana Food